Correva l’anno 1976, quando, il 26 novembre, in Inghilterra uscì un singolo che, di lì a poco, avrebbe segnato la storia della musica mondiale: “Anarchy in the U.K.” dei Sex Pistols.
Poco mi importa l’eterno dibattito se siano
arrivati prima i Ramones o i Pistols, o chi sia stato più grande ed importante.
Io la mia idea ce l’ho, e propende per
l’oltreoceano.
Ma, ad ogni modo, è indubbio ed innegabile che
il disco di Johnny Rotten e C. abbia avuto un effetto dirompente.
Non a caso questo singolo, l’unico uscito per
EMI, è al numero 56 della lista redatta da Rolling Stone delle “500 Greatest
Songs of All Time”, ed è anche incluso nella “Rock and Roll Hall of
Fame's 500 Songs That Shaped Rock and Roll”.
Si trattava comunque di qualcosa di
decisamente nuovo, costruito ad arte da un manager dall’occhio lungo come
Malcolm McLaren, che fu capace di portare al successo una band di ragazzotti
alle prime armi, ma capaci di urlare con forza esplosiva roba tipo “I am an
Antichrist, I am an anarchist” e “Destroy” che suonavano come lo
strumento del pifferaio magico nei confronti dei giovani Britannici (e non
solo) in un periodo disperato come quello.
Era roba che metteva paura allora, e che tutto
sommato ne metterebbe anche ai benpensanti di oggi.
Curioso notare che la produzione del disco,
come si vede bene dall’etichetta del disco (uscito nella sua prima versione in
una semplicissima busta bianca) sia stata affidata da gente che andava in giro
indossando t-shirt con la scritta “I hate Pink Floyd” a Chris Thomas,
che aveva collaborato proprio con i Pink Floyd per “The Dark Side of the Moon”.
Ah, dimenticavo, sul lato B c’è anche “I wanna be me”, ma niente di che…
(Riki Signorini)
I
brani
1. Anarchy in the U.K.
2. I wanna be me
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