Dei Fasti mi ero già occupato un po’ di tempo fa recensendo il loro precedente lavoro, “Lei si è alzata dal sordo mormorio”. Oggi la band Piemontese torna alla carica con un full length, riproponendoci anche stavolta la propria personalissima miscela di musica elettronica e sperimentale. Ovvero una voce che, su una base elettronica arricchita da due bassi ed una chitarra, a volte acustica ed altre volte distorta, declama testi poeticamente intriganti, che parlano di sociale, politica e vita quotidiana, in un modo molto cinematografico, non nel senso del blockbuster Hollywoodiano ma semmai in quello dell’essai Francese. Peccato che la voce alla lunga risulti troppo ripetitiva e monocorde, e non riesca a dare la giusta enfasi alle liriche (anche se sospetto fortemente che questa cosa sia volutamente cercata dai Fasti, e non si tratti di un errore di valutazione….). A proposito dei testi, è curioso vedere come riescano ad intrecciare nello stesso brano (“Merci”) il proletario senso di appartenenza di Rocco, Meridionale, alla curva Juventina dei primi anni 80 (anche se lui non riusciva a vedere la differenza tra il Barone Causio ed il Poeta Sala, dato che entrambi erano talento puro) con il cinema, e la visione nell’Aprile 1980 di un film che avrebbe cambiato la sua vita, “Warriors”.