RECENSIONE DEL LIBRO DI FRANCESCO STEA "CENTRO SOCIALE MACCHIA NERA 1988-1999” (INTERNO4 EDIZIONI, SV)

"Centro Sociale Macchia Nera 1988-1999” è il libro che Francesco Stea, medico e storico Grossetano che a breve intervisteremo, ha dedicato al CSOA di Pisa, nato nel luglio del 1988 per riempire il vuoto lasciato dalla chiusura del Victor Charlie e per dare voce ai punk ed ai militanti dell’area.

Il Macchia negli anni successivi diventò un autentico tempio dell’underground per la sua programmazione di concerti di respiro internazionale, punk e non solo, che attiravano pubblico da tutta Italia pescando anche ben al di fuori dei circuiti militanti.

Qua però l’autore non si limita a parlare solo dell’aspetto musicale, ed anzi, forse si focalizza di più su quello politico e sociale, il tutto con una precisione storica da studioso quale Francesco è.

Perché fin dalle sue origini, il Centro Sociale si segnalò per la lotta contro la speculazione edilizia, l’eroina, il razzismo, contro vecchi e nuovi fascismi, contro il berlusconismo imperante nella società e nelle menti, intercettando e promuovendo le nuove forme di espressione, aggregazione e contro-cultura, dall’hip hop al giro dei rave e della musica elettronica, passando dall’ECN e dai movimenti antiproibizionisti.

Nel corso della sua ultradecennale attività il Macchia ha ospitato nei suoi spazi, non sempre senza difficoltà, una moltitudine di persone e attività, la politica dal basso, la socialità, l’arte, il teatro, la musica, la controinformazione.

Stea, attraverso 270 pagine zeppe di interviste ai protagonisti e simpatizzanti dell’epoca, immagini, fotografie, volantini e manifesti, ci racconta in modo preciso tutto questo, e mi riporta in mente episodi e concerti dei quali avevo perso memoria, pur avendovi partecipato.

Per questo lo ringrazio, per essere riuscito a scrivere la storia di un centro che ha fatto parte della mia storia, chiuso definitivamente quando, nella primavera del 1999, due misteriosi incendi in successione, ovviamente rimasti impuniti, hanno messo la parola fine a questa importante esperienza.

Per finire, mi piace sottolineare come quasi in chiusura del libro Francesco abbia inserito il testo (commentato da Tommaso Novi dei Gatti Mezzi) di “Macchianera”, una commovente canzone che i Pisani Gatti Mezzi dedicarono al Centro ed ai bei tempi andati, quelli dell’ultimo periodo, che magari ho vissuto un po’ meno, ma che nondimeno suscitano sempre emozioni indissolubili.

Ah, dimenticavo, Stea devolve la sua parte di proventi del libro, che costa 20 euro, a Staffetta Sanitaria, un punto di riferimento per solidali ed associazioni a supporto delle esigenze sanitarie dell’Amministrazione autonoma del nord est della Siria.

 

Staffetta sanitaria Aps

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(Riki Signorini)

 

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RECENSIONE SEX PISTOLS “ANARCHY IN THE U.K. / I WANNA BE ME” (SINGLE, 26 NOVEMBRE 1976, EMI, NO VOTE)

Correva l’anno 1976, quando, il 26 novembre, in Inghilterra uscì un singolo che, di lì a poco, avrebbe segnato la storia della musica mondiale: “Anarchy in the U.K.” dei Sex Pistols.

Poco mi importa l’eterno dibattito se siano arrivati prima i Ramones o i Pistols, o chi sia stato più grande ed importante.

Io la mia idea ce l’ho, e propende per l’oltreoceano.

Ma, ad ogni modo, è indubbio ed innegabile che il disco di Johnny Rotten e C. abbia avuto un effetto dirompente.

Non a caso questo singolo, l’unico uscito per EMI, è al numero 56 della lista redatta da Rolling Stone delle “500 Greatest Songs of All Time”, ed è anche incluso nella “Rock and Roll Hall of Fame's 500 Songs That Shaped Rock and Roll”.

Si trattava comunque di qualcosa di decisamente nuovo, costruito ad arte da un manager dall’occhio lungo come Malcolm McLaren, che fu capace di portare al successo una band di ragazzotti alle prime armi, ma capaci di urlare con forza esplosiva roba tipo “I am an Antichrist, I am an anarchist” e “Destroy” che suonavano come lo strumento del pifferaio magico nei confronti dei giovani Britannici (e non solo) in un periodo disperato come quello.

Era roba che metteva paura allora, e che tutto sommato ne metterebbe anche ai benpensanti di oggi.

Curioso notare che la produzione del disco, come si vede bene dall’etichetta del disco (uscito nella sua prima versione in una semplicissima busta bianca) sia stata affidata da gente che andava in giro indossando t-shirt con la scritta “I hate Pink Floyd” a Chris Thomas, che aveva collaborato proprio con i Pink Floyd per “The Dark Side of the Moon”.

Ah, dimenticavo, sul lato B c’è anche “I wanna be me”, ma niente di che…

(Riki Signorini)

I brani

1.   Anarchy in the U.K.

2.   I wanna be me

INTERVISTA AD ATARASSIA GROP DA PUNKSTER N. 12 (GENNAIO 2006)

Alcuni anni fa, era gennaio 2006, ebbi l’occasione di intervistare per Punkster gli Atarassia Grop, un gruppo che mi piaceva davvero molto, in occasione dell’uscita del loro album “Non si può fermare il vento”.

L’intervista finì sul numero 12 di Punkster, una rivista che usciva in edicola (!!) e parlava di punk ed hardcore! Una cosa che a pensarla oggi è una follia, ma al tempo almeno per un po’ funzionò.

Ecco l’intervista, con l’aggiunta di alcune domande che al tempo, per mancanza di spazio, non pubblicammo:

 

Atarassia Grop è una band sulla strada da oltre dieci anni, che ha scelto di chiamarsi così per contrapporsi a quello che è davvero l’atarassia, uno stato di alienazione rispetto a ciò che è tangibile, "reale”; tutto il contrario della loro attitudine, molto attenta alla realtà ed alla vita. Di questo e di altro abbiamo parlato con Filippo, il cantante, e quello che segue è il risultato.

Riki: Siete in giro da oltre un decennio, nonostante ciò non siete una delle bands più in vista del panorama punk hardcore Italiano. Ripercorrendo le tappe della vostra storia, dalla nascita ad oggi, riuscite a spiegarci il perché?


Filippo: Uno dei motivi è che non abbiamo mai suonato nell'ottica di ricavarne notorietà. Noi cerchiamo di fare musica giorno dopo giorno, con coerenza e umiltà, senza pianificare un'attività che è e che rimarrà solo un'enorme passione. Questo non lo considero un limite, è molto più semplicemente il nostro modo di essere e di vivere la musica. Inoltre sostenere una band come la nostra vuole dire condividerne le intenzioni e gli ideali e non soltanto fare quattro risate insieme ad un concerto. Non che nelle nostre canzoni non vi sia spazio per il divertimento, anzi, ma la maggior parte dei ragazzi preferisce fermarsi a quello, mentre per noi la musica è un punto di partenza… e spesso ci segue solo chi ha voglia di partire. Penso sia questo il motivo principale.  

R: Per raggiungere un successo ed una visibilità maggiore, firmereste per una major?

F: Assolutamente no, proprio perché la nostra è solo una passione, e come tutte le passioni si disseta di sudore, non di successo.

R: Ad oggi, se non sbaglio, avete prodotto 4 dischi, due demo ed una raccolta ed avete partecipato a svariate compilation. A quale disco siete più legati?

F: Mi ricordo ancora quando mi si è presentato alla porta di casa il corriere che ci consegnava le copie del primo disco autoprodotto: che figata! Ecco, forse più che ai dischi sono legato a momenti come questo. Curare di persona la realizzazione di ogni nostro disco, dalla registrazione alla grafica, ci ha sempre dato grandi emozioni. Siamo cresciuti con la nostra musica, per cui ogni disco ci emoziona prima di tutto perché ci riporta a ciò che eravamo in quel periodo, anche se ad ascoltarli in fila, ora, sento l'esuberanza adolescenziale cedere il passo ad una disillusa incazzatura.


R: E del nuovo CD che mi dite? Siete soddisfatti?

F: Moltissimo. Credo sia il nostro migliore lavoro, soprattutto a livello di contenuti. Ho curato molto la stesura dei testi e ce ne sono alcuni di cui, senza false modestie, vado fiero. E' un disco molto intimo e sincero perché, sebbene tocchi tematiche che non riguardano solo me stesso, è scritto e suonato con la pancia e col cuore.

Inoltre anche la produzione ci ha soddisfatti in pieno, e questo lo dobbiamo alla professionalità e all’amicizia di chi lo ha prodotto.

R: Qual è il vostro brano che preferite?

F: E’ difficile dirlo. Ognuno ha la sua storia. Ultimamente a me piace molto "Canzone di Gennaio", contenuta nel nuovo disco. L'ho scritta per Fabrizio De Andrè, come se fosse una lettera. Mi sarebbe piaciuto farci due chiacchere. Ogni sua canzone è un libro intero.

R: Oggi, nel 2006, con quale gruppo o cantante vorreste fare un concerto?

F: Abbiamo suonato con un mare di gruppi e ci siamo tolti parecchie soddisfazioni negli ultimi anni. Per ora non abbiamo ancora suonato con i Gang. Con loro mi piacerebbe davvero tanto, anche perchè Sandro e Marino, che hanno collaborato con noi sul nuovo disco, sono degli ottimi compositori, oltre che delle grandi persone. Se invece mi è concesso sognare, allora sogno di stare su un palco al porto di Genova, con De Andrè che canta “Guns of Brixton”, io e Joe Strummer che suoniamo la chitarra e sotto il palco nessuno, solo il mare.

R: La vostra musica ha subito un sacco di evoluzioni nel corso degli anni, ma voi la descrivete come “Combat Burdel”. Perché?

F: Perché non c'è altro modo per descriverla: è “combat” per i contenuti, ed è “burdel” (che nel nostro dialetto vuol dire “casino”) perché non siamo musicisti, ma solo suonatori che mischiano sonorità diverse con la stessa viscerale attitudine.

R: Nella homepage del vostro sito (www.atarassiagrop.it, che ormia non esiste più) campeggia una scritta molto significativa: “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”. Potete parlarcene un po’?

F: E' un verso di "Via del Campo" di De Andrè in cui ci riconosciamo in pieno. Tutto e tutti ci invitano a correre dietro alle cose che luccicano, ma lo avete mai visto un diamante al buio? Non serve a niente. I fiori profumano anche di notte, e se le nostre canzoni riusciranno ad essere letame per i fiori, avremo fatto qualcosa di buono.


A seguire la parte di intervista che non trovò spazio su Punkster

R: Visto che avete un bel sito, parliamo di Internet e tecnologia, ed in particolare del File Sharing che rischia di fare perdere occasioni economiche alle bands. Tu cosa ne pensi?

F: Io personalmente ho un rapporto pessimo con la tecnologia, agli sms ed alle mail preferisco l'inchiostro. Peccato che il mondo attuale ti consenta raramente di scegliere cosa fare in questo senso. Comunque devo riconoscere che la tecnologia ha delle potenzialità enormi, non solo per la velocità di informazioni e pubblicità, ma anche per quanto riguarda la possibilità di registrare e migliorare la propria musica. Senza esagerare però, altrimenti si perde in personalità, che è una cosa preziosa.. Quanto al File Sharing, se un ragazzo non ha la capacità critica di capire quali sono le bands da scaricare/masterizzare e quali sono quelle da sostenere comprando il disco originale, allora credo che il problema, più che della tecnologia, sia suo.

R: Che cosa pensate della scena alternativa italiana, e dei cambiamenti avvenuti negli anni? Ci sono dei gruppi o delle situazioni che vi sentite vicini, o che al contrario vorresti non esistessero?

F: Non sono un profondo conoscitore della scena e delle sue dinamiche. Sicuramente non ha niente da invidiare a quelle straniere, tranne forse la partecipazione del pubblico ai concerti, che all’estero è spesso più massiccia e calorosa. Devo dire che nel 1993, quando abbiamo iniziato, si respirava un’aria più genuina e meno competitiva rispetto ad ora. Nonostante questo, siamo in ottimi rapporti con molti gruppi italiani ed esteri e ci sentiamo particolarmente vicini alle bands che portano avanti i nostri stessi discorsi, come Banda Bassotti o Gang, per farti due nomi. Poi ci sono gli amici, ai quali ci lega qualcosa che prescinde dal discorso musicale, come i Los Fastidios; ma questi sono davvero tanti. Da questo punto di vista ci riteniamo molto fortunati! Per il resto non mi permetterei mai di dire che un gruppo non dovrebbe esistere, anche se alcuni sono talmente “montati” da non aiutare certamente l’unità della scena. Quanto alle situazioni, mi infastidisce molto l'invidia ipocrita che in troppi nutrono verso le bands più conosciute. È l'attitudine miserabile di chi sputa negli occhi degli altri solo perché non ha il coraggio di sputarsi in faccia.

R: Quale gruppo ha maggiormente influenzato la vostra band?

F: Uno solo non saprei proprio indicartelo. Sicuramente gli Erode, i Cccp, i Mano Negra, i Clash, ma anche alcuni cantautori; forse nella nostra musica si coglie poco o niente della loro presenza, ma nei testi, soprattutto negli ultimi, credo che il riferimento sia abbastanza esplicito.

R: E un brano non vostro a cui vi sentite particolarmente legati?

F: Ce ne sarebbero così tanti che davvero non riesco a scegliere! Di solito presto attenzione ai testi più che al ritmo o alle note, per cui in generale rimango legato alle parole. Uno che mi viene in mente in questo istante è "Al Volga non si arriva" degli Erode, ma potrei rispondere in mille modi diversi a questa domanda.

R: Per finire, dove saranno gli Atarassia Grop tra dieci anni?

F: Spero che saremo, se non ancora in giro a suonare, almeno nei ricordi di chi ha voluto bene alle nostre canzoni. Questo ci basterà.