RECENSIONE NEGAZIONE “LO SPIRITO CONTINUA” (1986, KONKURREL RECORDS, poi T.V.O.R. on Vinyl, 5/5)

Quando uscì per la prima volta nel 1986 su Konkurrel, Lo Spirito Continua fu una scossa elettrica. Tre anni dopo, nel 1989, la ristampa su TVOR on Vinyl ne consolidò definitivamente lo status di disco imprescindibile, un caposaldo assoluto della Old School of Italian Hardcore. E quando lo si riascolta oggi, resta ancora un pugno nello stomaco e insieme un abbraccio collettivo: rabbia, disagio e desiderio di riscatto trasformati in energia pura, con quel mix di furia hardcore e spunti melodici che non ha perso un solo grammo di intensità.

Non è un disco perfetto: è imperfetto, impreciso, a tratti grezzo. Ma è proprio lì la sua grandezza, in quell’urgenza che rende ogni brano un manifesto. “La Vittoria della Sconfitta”, ad esempio, è forse l’emblema più chiaro del lavoro: un titolo che già da solo è un manifesto e un testo che ribalta l’idea stessa di fallimento, trasformandolo in forza e consapevolezza. È un inno che scuote ancora oggi, perché insegna che perdere non significa cedere, ma resistere. Con “Diritto Contro un Muro” la rabbia e la frustrazione si fanno musica senza filtri: l’hardcore dei Negazione qui è diretto, spietato, senza concessioni, e quel muro diventa insieme ostacolo e simbolo, contro cui continuare a sbattere pur di non smettere di lottare. E poi c’è “Lo Spirito Continua”, la title track, che si eleva a grido collettivo: i cori intensi e memorabili sono il cuore pulsante del brano, un richiamo che ancora oggi unisce chiunque lo ascolti. Non è soltanto una canzone, ma un motto, un passaggio di testimone generazionale che continua a vibrare nel tempo.

Accanto a questi tre colossi si trovano altri brani altrettanto significativi – “Thinkin’ of Somebody Else”, “Un Amaro Sorriso”, “Lasciami Stare”, “Lei ha bisogno di qualcuno che la guardi” – che completano un album compatto e rabbioso, capace di alternare ferocia e malinconia, urgenza urlata e momenti di introspezione.

A quasi quarant’anni dalla sua prima uscita, Lo Spirito Continua resta un disco irripetibile. Non solo per ciò che ha significato allora, ma per quello che continua a trasmettere oggi: i Negazione non si sono limitati a fare hardcore, lo hanno reso vivo, reale, necessario.

(Riki Signorini)

I brani

A1           La Vittoria Della Sconfitta

A2           Lasciami Stare

A3           Thinkin' Of Somebody Else

A4           Diritto Contro Un Muro

A5           Niente

 

B1           Un Amaro Sorriso

B2           Straight & Rebel

B3           Qualcosa Scompare

B4           Lei Ha Bisogno Di Qualcuno Che La Guardi

B5           Lo Spirito Continua

RECENSIONE BEE LIVERS “BECKY BEE” (EP12, 2025, ROCKA RECORDS, 3/5)

I Bee Livers sono una band del nuovo millennio, ma composta da volti storici che hanno scritto pagine fondamentali dell’hardcore italiano del millennio precedente: Franz (Rappresaglia), Fabrizio Venturi (Stalag 17), Roberto “Crema” Calli (Wretched) e Fabricious (Crash Box). Nonostante siano passati decenni dai loro esordi, questi quattro dimostrano di avere ancora quello spirito che è ancora capace di lasciare il segno.

Il debutto Becky Bee raccoglie cinque brani più una hidden track, pubblicati su vinile da 180 grammi, con tanto di fumetto interno che introduce le avventure della protagonista.

Musicalmente il disco non punta più sulla furia cieca e sulla velocità di un tempo, ma su un impatto sonoro che mescola noise, rock’n’roll, punk e post-hardcore. Due voci, due chitarre, basso e batteria: il tutto rigorosamente suonato, senza fronzoli. Il risultato è un suono diretto, sporco e accattivante, che mantiene l’attitudine hardcore pur evolvendola in nuove direzioni.

Becky Bee non è nostalgia, non è revival. È la prova che certe radici non invecchiano mai: cambiano pelle, si contaminano, ma restano vitali. Sei tracce compatte, potenti e sincere, che colpiscono oggi come allora — anche se in modo diverso.


(Riki Signorini)

I brani

1.   Becky Bee

2.   Self Confident Man

3.   Go Away

4.   Demons Game

5.   Two Year Nation Party

6.   Bee Intro (hidden / bonus)

I contatti

Rocka Tapes

Bee Livers

RECENSIONE DESCENDENTS “EVERYTHING SUCKS” (LP, EPITAPH RECORDS, 1996, 4/5)

Uscito nel 1996, “Everything Sucks segna il ritorno in grande stile dei Descendents dopo anni di silenzio discografico (tra il 1987, anno di “All”, e il 1996, sui palchi si presentarono gli All)

In quel momento, il rischio era di non reggere il confronto con i loro capolavori del passato. Questo loro quinto album non è “Milo Goes to College, non è “I Don’t Want to Grow Up, dischi che hanno fatto scuola e definito un’epoca, ma è comunque un disco che sta lì, sul podio dei migliori della loro carriera: energico, compatto, pieno di pezzi che sanno ancora dire la loro.

Il disco mescola al meglio l’energia hardcore delle origini con quella vena melodica che i Descendents hanno sempre saputo rendere unica, senza mai scadere nella banalità.

Ci sono episodi brevi e brucianti come “Coffee Mug”, un minuto scarso di pura caffeina hardcore, un inno alle notti insonni, urlato come se fosse questione di vita o di morte. Breve, furioso e geniale: ti lascia col sorriso e la voglia di premere subito “repeat”.

Poi c’è “Everything Sucks”, un pezzo veloce, diretto, ironico e frustrato al punto giusto, che con tre accordi ti ricorda chi sono i Descendents e cosa sono capaci di fare. Un classico, come un classico è “I’m the One”, brano che sintetizza alla perfezione la scrittura della band: diretto, melodico, emozionante, con un ritornello perfetto. Non a caso è diventato, di diritto, uno dei classici assoluti dei Descendents.

In definitiva, “Everything Sucks non riscrive la storia come i primi lavori, ma ha la forza di un disco vero, sincero, fatto da una band che non ha mai avuto bisogno di artifici,che dimostra come i Descendents, anche dopo anni, sanno ancora fare quello che vogliono meglio di chiunque altro: punk rock onesto, diretto, che ti fa venire voglia di saltare, ridere e cantare tutto insieme. Non è nostalgia, è semplicemente una grande band che continua a fare grandi dischi

(Riki Signorini)

I brani

1.   Everything Sux

2.   I'm The One

3.   Coffee Mug

4.   Rotting Out

5.   Sick-O-Me

6.   Caught

7.   When I Get Old

8.   Doghouse

9.   She Loves Me

10.  Hateful Notebook

11.  We

12.  Eunuch Boy

13.  This Place

14.  I Won't Let Me

15.  Thank You

RECENSIONE FUGAZI “13 SONGS” (LP, 1989, DISCHORD RECORDS, 5/5)

Se ha senso usare l’aggettivo “fondamentale” nella recensione di un disco, allora “13 Songs” dei Fugazi è uno di quei casi in cui l’aggettivo è speso benissimo.

Io amo i Fugazi dalla prima volta che li vidi al Macchia Nera, durante il loro primo tour europeo, prima ancora che esistesse un loro disco ufficiale (l’EP omonimo, incluso in questa raccolta, uscì proprio in quell’occasione). Andai a vederli perché c’erano Ian e Jeff dei Minor Threat e Guy e Brendan dei Rites of Spring. Ma quando li ascoltai mi trovai davanti a qualcosa di completamente diverso: un suono che non aveva nulla a che vedere con le band hardcore di Washington DC, ma che era nuovo, potente, killer. Non solo una lezione, ma l’apertura di una vera e propria università del suono nuovo.

13 Songs raccoglie i due EP iniziali (Fugazi e Margin Walker) e rimane, a distanza di decenni, un debutto assoluto e imprescindibile: voci intrecciate, chitarre affilate, una sezione ritmica solidissima e un approccio che ha ridefinito i confini del post-hardcore. Un disco che ha fatto scuola, ispirando intere generazioni, e che resta un manifesto dell’etica DIY, della coerenza artistica e della possibilità di fare musica indipendente senza compromessi.

E poi ci sono le canzoni. Ogni pezzo ha una sua personalità e contribuisce a comporre un mosaico sonoro unico:

Fugazi (EP, 1988)

  1. Waiting Room – Un intro storico: basso in levare, groove inarrestabile, esplosione controllata. Manifesto di una nuova era.
  2. Bulldog Front – Diretto e serrato, un attacco frontale che mostra il lato più militante della band.
  3. Bad Mouth – Rabbia pura, ma con una struttura che già esce dagli schemi hardcore.
  4. Burning – Atmosfera quasi ossessiva, ritmo ipnotico che cresce fino a esplodere.
  5. Give Me the Cure – Voce e chitarra in dialogo, alternanza di calma e tempesta.
  6. Suggestion – Un testo potente contro sessismo e molestie, ancora oggi attualissimo.
  7. Glue Man – Cupo, allungato, quasi sludge: una chiusura lenta e corrosiva, piena di tensione.

Margin Walker (EP, 1989)

  1. Margin Walker – Urgente e diretto, due minuti e mezzo di energia compressa.
  2. And the Same – Visionaria e sperimentale, con cambi di tempo che disorientano e affascinano.
  3. Burning Too – Linee melodiche intrecciate, uno dei brani più accessibili senza perdere intensità.
  4. Provisional – Teso, nervoso, con chitarre affilate come rasoi.
  5. Lockdown – Sezione ritmica granitica e groove claustrofobico.
  6. Promises – Lunga, ipnotica, dolente: una sorta di manifesto lirico e sonoro della band.

“13 Songs” non racconta solo un’epoca: suona ancora urgente, necessario e, appunto, fondamentale. Un disco che dimostra come la musica possa essere innovativa, politicamente consapevole e indipendente senza compromessi.


(Riki Signorini)

RECENSIONE ACREDINE “IN DISPARTE + RAW & UNRELEASED” (LP, 2025, ROCKA TAPES, 4/5)

Prima ancora di parlarvi del disco – che è a nome Acredine, ma fu pubblicato a suo tempo come se fosse degli Indigesti, e a buon diritto – lasciatemi raccontare un aneddoto sul mio legame, più sentimentale che musicale, con la band di Rudy Medea.

Era il tempo del leggendario split 7” tra Indigesti e Wretched. Rudy me lo spedì per posta. Io abitavo in campagna, e il buon postino pensò bene di lasciarlo sul muretto davanti a casa. Blitz, il mio cane, lo trovò prima di me. Rosicchiò il pacco e riuscì a intaccare proprio i primi due pezzi del disco: quelli non li ho mai sentiti dalla mia copia, e ancora me li sogno.

Flashforward: sono passati più di quarant’anni, è un’estate rovente, e succede la stessa scena. Il nuovo disco (di nuovo Rudy, di nuovo quel suono) viene lasciato su un altro maledetto muretto.

E stavolta non è Blitz, ma un acquazzone torrenziale a rovinarlo: copertina danneggiata, vinile imbarcato.

Ma – almeno! – stavolta il disco è ascoltabile nella sua interezza. E ne vale la pena.

Perché In Disparte è un disco degli Indigesti a nome Acredine, o degli Acredine che suonano da Indigesti. Comunque lo si voglia leggere, il risultato non cambia: è una gemma nascosta dell’hardcore punk italiano, 22 tracce per 45 minuti di rabbia, velocità e consapevolezza.

Su vinile per la prima volta, con audio rimasterizzato e una fulminea cover di "Blind Justice" degli Agnostic Front che sembra sputata fuori dal cuore della Torino-Vercelli anni ’80.

C’è Rudy Medea alla voce e ai testi – inconfondibile, ruvido, lucido. Con lui Enrico degli Indigesti , Mungo del Declino (che suona il basso in quasi tutti i brani, la chitarra solista in un paio e canta nei cori dove presenti), Xlaidox (già in Right In Sight e Indigesti, nonché grafico per Vacation House Records e Blu Bus Dischi) e Tino, anche lui proveniente dalla scena hardcore piemontese.

Una vera superband nata nel ’97 come prosecuzione naturale e matura degli Indigesti, a nome Acredine.

Il disco uscì solo in CD, e fu accreditato anche agli Indigesti: oggi quelle copie sono da collezione.

Questa nuova edizione su LP rende finalmente giustizia a un capitolo fondamentale – anche se spesso dimenticato – dell’hardcore nostrano.

Il lato A del vinile ripropone integralmente i brani originali del CD, con pezzi come “In Disparte”, “Opaco Istinto Inutile”, “Cancella Elimina” o “Esistere – Resistere”, che riportano immediatamente a quel suono nervoso, compatto, abrasivo, ma allo stesso tempo carico di una tensione esistenziale che è marchio di fabbrica di Rudy. Non è solo energia: è uno sguardo critico e poetico sul vivere, sul resistere, sul senso stesso dell’essere "contro".

Poi c’è il lato B, la sorpresa di questa ristampa: una collezione di tracce rare e inedite, tra cui spicca “Blind Justice” rifatta “alla Indigesti”, e varie versioni alternative o strumentali dei brani del lato A. C’è anche una chicca come “Mezzalama” e una seconda versione di “Oltre il Confine”, che aggiunge profondità al concept e al suono dell’intero album. Le versioni strumentali, lungi dall’essere dei semplici riempitivi, permettono di apprezzare meglio l’intreccio chitarristico, la potenza della sezione ritmica e l’intenzione compositiva che c’è dietro ogni pezzo. È come ascoltare l’anima cruda del disco, nuda, senza filtri.

Chiude il cerchio un’intervista inedita a Rudy Medea, firmata da Luca Frazzi, inserita nella busta interna: un racconto sincero, senza filtri, di uno dei padri fondatori del punk hardcore italiano.

Non sarà il loro disco migliore, ma è uno di quelli che non devono mancare. Per chi c’era, per chi è arrivato dopo, per chi pensa che l’hardcore sia solo una questione di volume: ascoltate questo disco. È ancora, orgogliosamente, una questione di cuore.


(Riki Signorini)

I brani

LATO A 

1.   Intro  

2.   In Disparte  

3.   Opaco Istinto Inutile  

4.   Cancella / Elimina  

5.   Dare  

6.   Innaturale  

7.   Esistere - Resistere  

8.   Confine  

9.   Anomalia  

10.  Outro  

LATO B

1.   Blind Justice  

2.   Respiro  

3.   In Disparte

4.   Esistere-Resistere

5.   Mezzalama

6.   Innaturale

7.   Oltre Il Confine

8.   Anomalia

9.   Cancella-Elimina

10.  Oltre Il Confine [strumentale]

11.  Inutile [strumentale]

12.  outro

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RECENSIONE OPERATION IVY “ENERGY” (CD, 1989, LOOKOUT RECORDS, 5/5)

Ci sono dischi che entrano nella tua vita e non ne escono più. Energy degli Operation Ivy è uno di questi. Pubblicato nel 1989 come decima uscita della storica etichetta Lookout Records, è un album seminale, fondamentale non solo per la scena punk californiana, ma per tutta la musica alternativa degli anni a venire. Non è stato forse il primo tentativo di fondere ska e hardcore, ma è stato senz’altro il primo a farlo con questa energia, questa urgenza, questa coerenza.

Nati e cresciuti all’ombra del 924 Gilman Street di Berkeley, epicentro della cultura punk DIY della Bay Area, gli Operation Ivy sono stati un fulmine che ha colpito e incendiato tutto nel giro di pochissimo. In appena due anni di attività, la band è riuscita a lasciare un'impronta indelebile, e Energy è la prova tangibile di quella scossa: 19 tracce nella versione originale in vinile, poi portate a 27 nella ristampa in CD del 1991, pubblicata quando la band era già sciolta da un paio d’anni (Le otto tracce aggiuntive? Sei dal primissimo EP Hectic, due dalla mitica compilation Turn It Around! — entrambe pubblicazioni Lookout, ovviamente).

Non c’è filler, non c’è calo di tensione. Ogni brano è una scheggia impazzita di ritmi spezzati, liriche consapevoli e riff che si stampano in testa. Le mie preferite restano tre classici assoluti. “Bombshell” è un pugno allo stomaco: un inno feroce e melodico allo stesso tempo, con una sezione ritmica che corre e graffia. “Sound System” è il manifesto emotivo dell’album, un’ode a quel rifugio collettivo e personale che è la musica stessa — «Sound system gonna bring me back up» non è solo un ritornello, è una dichiarazione di fede. E poi c’è “Freeze Up”, forse uno dei brani più lungimiranti del lotto, che riflette sul blocco sociale e personale con uno stile che è insieme critico e danzereccio.

Un elemento distintivo del suono di Energy è anche l’uso del sax, suonato da Paul Bae, che appare in brani come “Bad Town”, “Smiling” e “Caution”. Non è mai invasivo, ma inserito con intelligenza: in “Bad Town” il sax emerge con forza, dando un’atmosfera quasi rocksteady al pezzo, mentre altrove contribuisce ad arricchire la struttura dei brani con una vena melodica inaspettata. È uno degli ingredienti che rende il disco più sfaccettato, senza mai allontanarlo dalla sua essenza ruvida e diretta.

Nonostante il suono grezzo e l’urgenza adolescenziale che lo pervade, Energy ha una freschezza che non svanisce. Lo dimostra il fatto che da oltre trent’anni è una presenza costante nella mia vita: prima sul giradischi, poi nel lettore CD, oggi nella mia playlist su Spotify. Ogni ascolto è un ritorno a casa, un tuffo in quell’energia incontenibile che solo pochi dischi riescono a custodire.

Energy non è solo un disco importante. È un punto di svolta, un’opera che ha anticipato di almeno un decennio quello che sarebbe diventato uno dei suoni dominanti del punk underground e mainstream. Se oggi parliamo di ska-core come genere codificato, lo dobbiamo anche — forse soprattutto — a questo disco e a quei quattro ragazzi di Berkeley che volevano solo suonare forte e cambiare il mondo, almeno un po’.

(Riki Signorini)

I brani

Lato A


1.          Knowledge - 1:40

2.          Sound System - 2:14

3.          Jaded - 1:49

4.          Take Warning - 2:44

5.          The Crowd - 2:10

6.          Bombshell - 1:01

7.          Unity - 2:13

8.          Vulnerability - 1:58

9.          Bankshot - 1:30

 

Lato B

 

1.          One Of These Days - 1:05

2.          Gonna Find You - 1:52

3.          Bad Town - 2:32

4.          Smiling - 1:44

5.          Caution - 1:23

6.          Freeze Up - 2:19

7.          Artificial Life - 2:03

8.          Room Without A Window - 1:31

9.          Big City - 2:14

10.       Missionary - 2:05

 

Tracce presenti nel CD ma non nella versione vinile

 

1.          Healthy Body (dall’EP "Hectic")

2.          Hedgecore (dall’EP "Hectic")

3.          Steppin’ Out (dall’EP "Hectic")

4.          The Crowd (dall’EP "Hectic")

5.          Man On The Streets (dall’EP "Hectic")

6.          Gonna Find You (dall’EP "Hectic")

7.          Officer (dalla compilation "Turn It Around!")

8.          I Got No (dalla compilation "Turn It Around!")