INTERVISTA A FRANCESCO STEA, AUTORE DI "CENTRO SOCIALE MACCHIA NERA 1988-1999” (INTERNO4 EDIZIONI, SV)

Francesco Stea, medico (e storico) grossetano ormai trapiantato da anni a Pisa, è l’autore di "Centro Sociale Macchia Nera 1988-1999”, il libro dedicato al CSOA di Pisa che, ereditando in qualche modo l’esperienza del Victor Charlie, diventò un autentico tempio dell’underground per oltre un decennio.

Dopo averne parlato QUA, oggi intervistiamo l’autore

Riki: Ciao Francesco e ben trovato per questa chiacchierata sul tuo libro, dedicato al Centro Sociale Macchia Nera di Pisa, ed a 11 anni di controcultura (1988-1999) a Pisa e non solo.

Inizierei con parlare un attimo di te, e di come ti sei imbattuto nel Centro Sociale di Pisa, tu che sei un medico laureato in Storia, arrivato nella città della Torre nel 1997 o giù di lì.

Francesco: La mia biografia è tutt'altro che interessante, ma è utile per contestualizzare: sono originario di Grosseto, al momento del diploma ero indeciso se intraprendere gli studi in Storia - che già allora mi piaceva: i miei mi regalarono "Il secolo breve" di Hobsbawm, fu subito amore - o in Medicina. Pensai che potevo fare Medicina e poi semmai fare Storia successivamente per hobby, mentre non sarebbe mai stato possibile fare il contrario; oggi infatti lavoro come medico e nel 2022 mi sono laureato anche in Storia (con 110 e lode, scusa ma l'impulso di dirlo è insopprimibile!).

Arrivo a Pisa dalla mia piccola città di provincia, nel 1997 se non sbaglio; non
avevo mai sentito mai parlare del Macchia Nera, la prima volta che ne lessi fu un accenno nella guida per gli studenti che Sinistra Per distribuiva al concerto dei 99 Posse in piazza Carrara nel 1997 (dal palco Zulù fece riferimento alla vicenda Sofri; un altro collegamento con vicende trattate nel libro). Ma non ricordo di aver mai visto locandine in giro, e non ci sono mai stato: all'epoca pensavo a tirar via con gli esami, inoltre le Piagge per me erano già zona un po' periferica, e nessuno che conoscevo lo frequentava.

Poi negli anni mi è capitato spesso di sentire qualche breve accenno al Macchia Nera, principalmente per i concerti. Nel tempo mi è cresciuta la curiosità di saperne di più, ma non ne sentivo mai racconti veri e propri né trovavo niente da leggere. Al di là che ci avessero suonato i Soundgarden - un po' un mantra - cos'era il Macchia Nera? Com'è nato? Cos'ha fatto in undici anni di esistenza? Se lo volevo sapere, mi dovevo mettere a fare un po' di ricerche. Poteva essere un bell'argomento per la tesi di laurea… o forse una cazzata? Mi hanno (ben) consigliato di parlarne con il prof. Alberto Mario Banti, che io conoscevo come studioso del Risorgimento, ma che, specie negli ultimi anni, si è dedicato principalmente alla storia culturale (vedi il suo "Wonderland. La cultura di massa da Walt Disney ai Pink Floyd", con Jimi Hendrix in copertina). "That escalated quickly", potremmo dire… ed eccoci qui.


R
: Infatti il tuo approccio da storico si vede molto bene, e devo complimentarmi per come sei riuscito a mettere nero su bianco molti fatti che rischiavano di andare dimenticati dopo molti anni da quando sono avvenuti. Però toglimi una curiosità: perché la scelta di non nominare gli intervistati, citando solo il numero della intervista, ma non la persona a cui tale intervista è collegata?

F: Scherzando potrei rispondere: ribaltiamo la prospettiva, perché invece sarebbe importante sapere i nomi? A parte scherzi, ho preso la decisione di tutelare la riservatezza di tutti. Magari qualcuno non avrebbe avuto piacere a vedere scritto il suo nome, magari ad altri invece non sarebbe importato, magari qualcuno avrebbe avuto proprio piacere, io ho detto: facciamo che di nomi non ne metto nessuno. Anche quando (rari casi) erano riportati negli articoli di giornale che cito, ho scelto di ridurli alle sole iniziali. Il che peraltro credo si sposi bene con l'argomento del libro: il Macchia Nera è stato un collettivo, di nomi di singole persone se ne leggevano molto pochi. Inoltre, in occasione delle interviste le persone si sono sentite più libere: esordivo sempre con "il tuo nome non comparirà, raccontami cosa ti pare, quello che non hai voglia di raccontarmi non me lo racconti, se c'è qualcosa che mi racconti ma non devo scrivere me lo dici e non lo scrivo" (e così ho fatto). Lasciamo a chi vuole la possibilità di dire "questo sono io", poi ovviamente i nomi di tutti gli intervistati sono sparsi nei ringraziamenti finali.

R: Grazie Francesco. Un'altra curiosità. Dopo l'enciclopedico sforzo fatto per completare la tua tesi, come è nata di farne un libro per Interno4?

F: Ho pensato che quello che avevo scritto potesse essere di interesse anche per

qualcun altro: la conferma me l'ha data anche l'iniziativa all'Ortaccio, in cui in una sera di metà settimana la sala si è riempita di gente venuta fino a Vicopisano a sentir parlare e a parlare del Macchia Nera. Ho quindi inviato il "manoscritto" a diverse case editrici: ho però scoperto che la prassi è "tu inviaci il tuo testo, se dopo sei mesi non hai sentito nulla vuol dire che non ci interessava". Capisco che adesso con internet riceveranno forse dieci proposte editoriali al giorno, ma non è incoraggiante. Infatti, la maggior parte non ha neanche risposto. Avevo letto di recente "Prendiamoci la città", il libro di Guido Viale su Lotta Continua uscito per Interno4, e ho pensato che potesse essere l'editrice giusta: Massimo ha fissato una videochiamata meno di un'ora dopo che gli avevo mandato l’e-mail e ha deciso di pubblicare il libro già prima di leggere il testo! Poi, siccome c'erano già diverse altre uscite in programma prima della mia, ho avuto tempo, modo e voglia di continuare il lavoro, trovare altro materiale, scartabellare più giornali, intervistare altre persone, migliorare alcuni capitoli, e il testo del libro è in effetti molto più lungo e più completo di quanto non fosse la tesi, che usando un'analogia informatica possiamo dire ne rappresenti una versione beta. Interno4 ha poi fatto un bel lavoro di editing - processo che di certo non si limita a correggere i refusi! - con preziosi e competenti suggerimenti, principalmente da parte di Caterina Zamboni, che quando ci ho parlato mi ha raccontato che in precedenza aveva fatto un po' di editing a libri di suo padre, sai scrive anche lui… Con una certa lentezza di riflessi ho scoperto di avere avuto la stessa editor di Massimo Zamboni, l'ex chitarrista dei CCCP, di cui avevo appena letto "La trionferà", trovandolo entusiasmante! Alla fine, il libro come è uscito mi piace anche esteticamente, mi sembra confezionato proprio nello spirito giusto; questo rende evidente che dalla casa editrice chi ha gestito tutto il processo di pubblicazione ne sa, a maneggiare questa roba è a suo agio. Direi che sono cascato proprio bene, anche perché non tutte le case editrici indipendenti lavorano così.


R
: a proposito di Ortaccio e risposta del pubblico, farai un tour promozionale per il libro? Oppure ti limiterai a presentarlo a Pisa? Per quello che può valere, spero che tu abbia modo di girare molto per l’Italia….

F: Intanto pensiamo al 6 dicembre al Caracol: devo dire che, per il mio carattere, organizzare e fare una presentazione pubblica è davvero molto faticoso. In effetti ci può essere interesse per il libro anche fuori Pisa: non solo per l'attrattività che avevano i concerti del Macchia Nera che richiamavano pubblico anche da lontano (ad esempio nel libro c'è il gustoso racconto di un gruppo di milanesi in trasferta per vedere i Bad Religion), non solo perché gli appassionati di musica di ogni età 


potrebbero trovarci cose interessanti, ma anche perché la storia del Macchia Nera potremmo vederla anche come il capitolo pisano della storia dei centri sociali, che erano una rete e un fenomeno di respiro nazionale. Credo che del resto anche l'interesse di Interno4 al libro si inserisca in questo discorso, ecco perché esce per una casa editrice "nazionale" e non per qualche pur rispettabilissima casa editrice pisana (quando cercavo un editore mi ero detto: puntiamo in alto, poi semmai a Pisa qualcuno che me lo pubblica lo troverò…). Ma sulla storia dei centri sociali italiani non sono granché preparato, ne so poco sia per motivi personali e anagrafici, sia perché, anche qui, poco è stato scritto (e del poco che è stato scritto, qualcosa l'ho trovato molto noioso, io spero invece di aver scritto qualcosa di piacevole da leggere!) Comunque, già diverse persone fra le tante che mi hanno dato una mano per il libro mi hanno proposto di fare presentazioni qui nei dintorni e quelle penso che con calma le farò, anche per ringraziarli. Però alla fine io il mio l'ho fatto scrivendo, quindi alle presentazioni preferirei che parlassero i veri protagonisti dell'epoca, così - nella mia curiosità di saperne di più, da cui tutto è cominciato - ascolto qualcosa di interessante anch'io: la serata all'Ortaccio (trovate la registrazione qua) fu divertente e istruttiva, ha contribuito molto al libro, ci sono anche alcuni interventi che ho riportato pari pari.

R: Dopo tutto quello che hai letto e scritto sull’argomento, che impressione ti sei fatto del Macchia dall’esterno?

F: Giustamente dici "impressione": è il termine che uso anch'io, perché non mi azzardo a trarne più che questo (sebbene ormai sia un'impressione abbastanza informata, me lo concederete!). L'impressione è che il Macchia Nera sia stato uno spazio e un collettivo - un centro sociale, infatti, è entrambe le cose - che ha tratto la sua forza dal tenere insieme tante persone e attività diverse, al contempo mantenendo un rapporto con tutta la città, se non altro perché era un luogo dove

tutti o quasi andavano almeno a passare qualche serata. È bello anche che fosse un posto dove, anche al di là delle attività promosse direttamente da chi lo portava avanti, potevi trovare spazio e modo per fare un'assemblea, una riunione, un'iniziativa pubblica o una performance artistica. Poi magari questo mix e questo equilibrio non hanno più retto, ma su questo non mi ci fisserei, direi più che tutti i fenomeni umani hanno un inizio e una fine, è un ciclo normale, anzi forse per un centro sociale vivere undici anni è oltre la longevità media. E io non sono neanche un grande esperto di musica, ma avere concerti di livello a prezzi popolari ogni settimana dev'essere stato fantastico, una vera ricchezza per la città, che appunto è durata anni.

R: tra tutte le testimonianze che hai raccolto, c’è qualche aneddoto particolarmente interessante che ti ha colpito?

F: Se ci limitiamo agli "aneddoti" propriamente detti, ce ne sono tanti legati ai concerti: da Linton Kwesi Johnson che nel pomeriggio sale al piano di sopra, entra nella sala prove e si mette a improvvisare con chi stava strimpellando lì - provo a immaginarmi le facce! - alla delirante serata delle Tribe 8, anche perché, delirio nel delirio, l'allora cantante delle Tribe 8 mi ha risposto dopo un anno a un messaggio che le era finito nello spam, con il pdf definitivo del libro ormai chiuso, per raccontarmi il suo ricordo del concerto pisano: siamo riusciti a inserirlo in extremis. Di aneddoti ce ne sono tanti e gustosi; al contempo uno degli obiettivi del libro era anche andare oltre agli aneddoti (per quanto sia già cosa buona averli fissati per scritto e aver separato realtà e leggenda), altrimenti la storia del Macchia Nera si ridurrebbe a una specie di sit-com. Se allarghiamo il discorso alle testimonianze in generale, ascoltarle è stato sempre interessante e istruttivo, al di là di quanto poi ho riportato direttamente. Una che mi è sembrata particolarmente importante è quella che racconta il Macchia Nera come un "safe space" - oggi si direbbe così - per le donne: ricordiamoci che parliamo di una trentina d'anni fa, certe cose non sono scontate neanche oggi, figuriamoci allora, neanche in certi ambienti. Il Macchia Nera è stato un posto all'avanguardia sotto tanti punti di vista.

(Comunque, ripensandoci, una sit-com ambientata in un centro sociale sarebbe una bomba!)

R: Beh, effettivamente, potrebbe essere una figata…. Magari potrebbero essere coinvolti alcuni frequentatori del Centro che poi hanno avuto una carriera folgorante senza dimenticare Pisa ed il Macchia Nera. Magari regia di Roan Johnson e colonna sonora di Zen Circus e Gatti Mèzzi… A proposito di questi ultimi, molto interessante il capitolo dedicato alla loro canzone “Macchianera”, che mi ha sempre emozionato molto, con parafrasi di Tommaso Novi. Come ti è venuta questa idea?

F: Mi pareva il minimo: è una delle poche cose scritte sul Macchia Nera e una sorta di ode a quel luogo; o, meglio, a come si sono vissuti quel luogo e quell'esperienza da parte di quella comunità di ragazzi negli ultimi anni del centro sociale (immagino che magari i primi occupanti possano ritrovarcisi poco e domandarsi se la canzone parla dello stesso centro sociale che conoscevano loro…). Al contempo fatti, cose e persone di cui si parla, anzi si canta, oggi possono non essere tutti chiari per chi non c'era: di qui l'esigenza - e l'utilità, nel mio caso - di farseli raccontare. Poi, al di là della parafrasi in sé, Tommaso è stato molto gentile ad aprirmi casa sua e i suoi ricordi dell'epoca, mi ha aiutato molto a capire il contesto. Ecco, siamo praticamente coetanei, ma lui l'adolescenza l'ha passata al Macchia Nera, io nella provinciale e sonnolenta Grosseto: direi che lui in questo è stato molto più fortunato di me, e con lui tutta quella generazione di pisani. Tutti si "vorrebbe torna' bimbetti", ma il ruolo particolare di formazione e crescita di "quer posto che era un mondo" lo sottolineano in tanti.

R: A proposito di Grosseto, un off topic. Hai visto il film “Margini”, dedicato proprio alla tua città?

F: Off topic neanche tanto: ci stavo proprio pensando mentre rispondevo; e poi anche per la storia e per l'ambiente che tratta direi che siamo in tema, anche se il film è ambientato nel 2008, quando il Macchia Nera non c'era più da un pezzo e anch'io non abitavo più a Grosseto da anni. Lo ritengo uno dei film migliori che ho visto negli ultimi anni. Ben fatto, tutto torna, addirittura gli attori parlano un discreto maremmano (evitando l'effetto "aaah i toscani simpatici che parlano tutti fiorentino"); soprattutto, descrive bene l'atmosfera di una città di provincia che più provincia non si può, evitando tuttavia di cadere nel macchiettistico, nel caricaturale, ma anche nell'autocompiacimento del disagio o in una sorta di esotismo paraculo tipo "mostriamo agli italiani un po' di terzo mondo per un'oretta e mezzo". Grosseto - mi baso su ricordi abbastanza lontani, ma non credo che nel frattempo ci sia stata una rivoluzione - è (era?) esattamente così; non è né il Bronx né Quarto Oggiaro né un paesino montano del Molise né una tana di bifolchi, però è (era?) un posto dove non c'è nulla o quasi ed è sempre un'impresa

organizzare qualcosa, davvero ti senti ai margini di tutto. Venendo da lì, nel 1997 arrivo a Pisa e improvvisamente mi sembra di essere capitato in un posto a metà tra Las Vegas e la Pietrogrado del 1917. Se "Margini" fosse stato ambientato a Pisa, sarebbe stato un cortometraggio di cinque minuti in cui tre amici decidono di organizzare un concerto, lo propongono a qualcuno dei posti dove si potrebbe fare (nel 2008 ti direi tipicamente Rebeldìa), il concerto si fa, loro si divertono un sacco senza neanche bisogno di sbattersi a cercare l'impianto, i soldi e tutto; fine, titoli di coda! Però neanche questo è una cosa scontata: se parte della vivacità di Pisa deriva dall'essere una città universitaria con migliaia di studenti, altre città analoghe sono ben diverse. Quello che c'è oggi poggia anche su basi gettate in passato, e probabilmente in questo il Macchia Nera ha fatto la sua parte. Altrimenti forse Pisa sarebbe solo una Grosseto con l'università e con due popolazioni separate tipo il Sudafrica dell'apartheid; rischio che peraltro è sempre un po' presente.

R: Ti faccio un’ultima domanda: perché consiglieresti di leggere il libro?

F: Non sono bravo ad autopromuovermi, ma una cosa la posso dire: io mi sono divertito tantissimo a scriverlo (divertito in senso lato, chiaramente, perché non è una raccolta di barzellette); se a leggerlo ci si diverte anche solo un decimo di quanto mi sono divertito io a scriverlo, ne vale la pena. Marc Bloch, grande storico

ucciso dai nazisti, diceva appunto che la storia, anche se per assurdo non servisse a nulla, è divertente; e questa, senza volerla fare più grossa di quella che è e senza prendersi troppo sul serio, è comunque un pezzetto di storia di Pisa, e direi d'Italia. Magari conoscere un pezzetto di passato può aiutare a comprendere meglio il presente, e magari a pensare un pezzetto di futuro; oppure si può anche semplicemente passare qualche ora - spero piacevole - a leggere una storia, che però ha un valore aggiunto perché è vera e non un'invenzione letteraria.

R: Vuoi aggiungere qualcosa prima di salutarci?

F: Solo che forse ci sono tante altre storie, pisane e non, che aspettano qualcuno che si diverta a scriverle e qualcun altro che si diverta a leggerle prima che vadano perse. Sarebbe bello se il libro fosse anche di incoraggiamento per altri.

R: Grazie mille Francesco! Lo spero davvero


I CONTATTI 

RECENSIONE DEL LIBRO DI FRANCESCO STEA "CENTRO SOCIALE MACCHIA NERA 1988-1999” (INTERNO4 EDIZIONI, SV)

"Centro Sociale Macchia Nera 1988-1999” è il libro che Francesco Stea, medico e storico Grossetano che a breve intervisteremo, ha dedicato al CSOA di Pisa, nato nel luglio del 1988 per riempire il vuoto lasciato dalla chiusura del Victor Charlie e per dare voce ai punk ed ai militanti dell’area.

Il Macchia negli anni successivi diventò un autentico tempio dell’underground per la sua programmazione di concerti di respiro internazionale, punk e non solo, che attiravano pubblico da tutta Italia pescando anche ben al di fuori dei circuiti militanti.

Qua però l’autore non si limita a parlare solo dell’aspetto musicale, ed anzi, forse si focalizza di più su quello politico e sociale, il tutto con una precisione storica da studioso quale Francesco è.

Perché fin dalle sue origini, il Centro Sociale si segnalò per la lotta contro la speculazione edilizia, l’eroina, il razzismo, contro vecchi e nuovi fascismi, contro il berlusconismo imperante nella società e nelle menti, intercettando e promuovendo le nuove forme di espressione, aggregazione e contro-cultura, dall’hip hop al giro dei rave e della musica elettronica, passando dall’ECN e dai movimenti antiproibizionisti.

Nel corso della sua ultradecennale attività il Macchia ha ospitato nei suoi spazi, non sempre senza difficoltà, una moltitudine di persone e attività, la politica dal basso, la socialità, l’arte, il teatro, la musica, la controinformazione.

Stea, attraverso 270 pagine zeppe di interviste ai protagonisti e simpatizzanti dell’epoca, immagini, fotografie, volantini e manifesti, ci racconta in modo preciso tutto questo, e mi riporta in mente episodi e concerti dei quali avevo perso memoria, pur avendovi partecipato.

Per questo lo ringrazio, per essere riuscito a scrivere la storia di un centro che ha fatto parte della mia storia, chiuso definitivamente quando, nella primavera del 1999, due misteriosi incendi in successione, ovviamente rimasti impuniti, hanno messo la parola fine a questa importante esperienza.

Per finire, mi piace sottolineare come quasi in chiusura del libro Francesco abbia inserito il testo (commentato da Tommaso Novi dei Gatti Mezzi) di “Macchianera”, una commovente canzone che i Pisani Gatti Mezzi dedicarono al Centro ed ai bei tempi andati, quelli dell’ultimo periodo, che magari ho vissuto un po’ meno, ma che nondimeno suscitano sempre emozioni indissolubili.

Ah, dimenticavo, Stea devolve la sua parte di proventi del libro, che costa 20 euro, a Staffetta Sanitaria, un punto di riferimento per solidali ed associazioni a supporto delle esigenze sanitarie dell’Amministrazione autonoma del nord est della Siria.

 

Staffetta sanitaria Aps

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(Riki Signorini)

 

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RECENSIONE SEX PISTOLS “ANARCHY IN THE U.K. / I WANNA BE ME” (SINGLE, 26 NOVEMBRE 1976, EMI, NO VOTE)

Correva l’anno 1976, quando, il 26 novembre, in Inghilterra uscì un singolo che, di lì a poco, avrebbe segnato la storia della musica mondiale: “Anarchy in the U.K.” dei Sex Pistols.

Poco mi importa l’eterno dibattito se siano arrivati prima i Ramones o i Pistols, o chi sia stato più grande ed importante.

Io la mia idea ce l’ho, e propende per l’oltreoceano.

Ma, ad ogni modo, è indubbio ed innegabile che il disco di Johnny Rotten e C. abbia avuto un effetto dirompente.

Non a caso questo singolo, l’unico uscito per EMI, è al numero 56 della lista redatta da Rolling Stone delle “500 Greatest Songs of All Time”, ed è anche incluso nella “Rock and Roll Hall of Fame's 500 Songs That Shaped Rock and Roll”.

Si trattava comunque di qualcosa di decisamente nuovo, costruito ad arte da un manager dall’occhio lungo come Malcolm McLaren, che fu capace di portare al successo una band di ragazzotti alle prime armi, ma capaci di urlare con forza esplosiva roba tipo “I am an Antichrist, I am an anarchist” e “Destroy” che suonavano come lo strumento del pifferaio magico nei confronti dei giovani Britannici (e non solo) in un periodo disperato come quello.

Era roba che metteva paura allora, e che tutto sommato ne metterebbe anche ai benpensanti di oggi.

Curioso notare che la produzione del disco, come si vede bene dall’etichetta del disco (uscito nella sua prima versione in una semplicissima busta bianca) sia stata affidata da gente che andava in giro indossando t-shirt con la scritta “I hate Pink Floyd” a Chris Thomas, che aveva collaborato proprio con i Pink Floyd per “The Dark Side of the Moon”.

Ah, dimenticavo, sul lato B c’è anche “I wanna be me”, ma niente di che…

(Riki Signorini)

I brani

1.   Anarchy in the U.K.

2.   I wanna be me

INTERVISTA AD ATARASSIA GROP DA PUNKSTER N. 12 (GENNAIO 2006)

Alcuni anni fa, era gennaio 2006, ebbi l’occasione di intervistare per Punkster gli Atarassia Grop, un gruppo che mi piaceva davvero molto, in occasione dell’uscita del loro album “Non si può fermare il vento”.

L’intervista finì sul numero 12 di Punkster, una rivista che usciva in edicola (!!) e parlava di punk ed hardcore! Una cosa che a pensarla oggi è una follia, ma al tempo almeno per un po’ funzionò.

Ecco l’intervista, con l’aggiunta di alcune domande che al tempo, per mancanza di spazio, non pubblicammo:

 

Atarassia Grop è una band sulla strada da oltre dieci anni, che ha scelto di chiamarsi così per contrapporsi a quello che è davvero l’atarassia, uno stato di alienazione rispetto a ciò che è tangibile, "reale”; tutto il contrario della loro attitudine, molto attenta alla realtà ed alla vita. Di questo e di altro abbiamo parlato con Filippo, il cantante, e quello che segue è il risultato.

Riki: Siete in giro da oltre un decennio, nonostante ciò non siete una delle bands più in vista del panorama punk hardcore Italiano. Ripercorrendo le tappe della vostra storia, dalla nascita ad oggi, riuscite a spiegarci il perché?


Filippo: Uno dei motivi è che non abbiamo mai suonato nell'ottica di ricavarne notorietà. Noi cerchiamo di fare musica giorno dopo giorno, con coerenza e umiltà, senza pianificare un'attività che è e che rimarrà solo un'enorme passione. Questo non lo considero un limite, è molto più semplicemente il nostro modo di essere e di vivere la musica. Inoltre sostenere una band come la nostra vuole dire condividerne le intenzioni e gli ideali e non soltanto fare quattro risate insieme ad un concerto. Non che nelle nostre canzoni non vi sia spazio per il divertimento, anzi, ma la maggior parte dei ragazzi preferisce fermarsi a quello, mentre per noi la musica è un punto di partenza… e spesso ci segue solo chi ha voglia di partire. Penso sia questo il motivo principale.  

R: Per raggiungere un successo ed una visibilità maggiore, firmereste per una major?

F: Assolutamente no, proprio perché la nostra è solo una passione, e come tutte le passioni si disseta di sudore, non di successo.

R: Ad oggi, se non sbaglio, avete prodotto 4 dischi, due demo ed una raccolta ed avete partecipato a svariate compilation. A quale disco siete più legati?

F: Mi ricordo ancora quando mi si è presentato alla porta di casa il corriere che ci consegnava le copie del primo disco autoprodotto: che figata! Ecco, forse più che ai dischi sono legato a momenti come questo. Curare di persona la realizzazione di ogni nostro disco, dalla registrazione alla grafica, ci ha sempre dato grandi emozioni. Siamo cresciuti con la nostra musica, per cui ogni disco ci emoziona prima di tutto perché ci riporta a ciò che eravamo in quel periodo, anche se ad ascoltarli in fila, ora, sento l'esuberanza adolescenziale cedere il passo ad una disillusa incazzatura.


R: E del nuovo CD che mi dite? Siete soddisfatti?

F: Moltissimo. Credo sia il nostro migliore lavoro, soprattutto a livello di contenuti. Ho curato molto la stesura dei testi e ce ne sono alcuni di cui, senza false modestie, vado fiero. E' un disco molto intimo e sincero perché, sebbene tocchi tematiche che non riguardano solo me stesso, è scritto e suonato con la pancia e col cuore.

Inoltre anche la produzione ci ha soddisfatti in pieno, e questo lo dobbiamo alla professionalità e all’amicizia di chi lo ha prodotto.

R: Qual è il vostro brano che preferite?

F: E’ difficile dirlo. Ognuno ha la sua storia. Ultimamente a me piace molto "Canzone di Gennaio", contenuta nel nuovo disco. L'ho scritta per Fabrizio De Andrè, come se fosse una lettera. Mi sarebbe piaciuto farci due chiacchere. Ogni sua canzone è un libro intero.

R: Oggi, nel 2006, con quale gruppo o cantante vorreste fare un concerto?

F: Abbiamo suonato con un mare di gruppi e ci siamo tolti parecchie soddisfazioni negli ultimi anni. Per ora non abbiamo ancora suonato con i Gang. Con loro mi piacerebbe davvero tanto, anche perchè Sandro e Marino, che hanno collaborato con noi sul nuovo disco, sono degli ottimi compositori, oltre che delle grandi persone. Se invece mi è concesso sognare, allora sogno di stare su un palco al porto di Genova, con De Andrè che canta “Guns of Brixton”, io e Joe Strummer che suoniamo la chitarra e sotto il palco nessuno, solo il mare.

R: La vostra musica ha subito un sacco di evoluzioni nel corso degli anni, ma voi la descrivete come “Combat Burdel”. Perché?

F: Perché non c'è altro modo per descriverla: è “combat” per i contenuti, ed è “burdel” (che nel nostro dialetto vuol dire “casino”) perché non siamo musicisti, ma solo suonatori che mischiano sonorità diverse con la stessa viscerale attitudine.

R: Nella homepage del vostro sito (www.atarassiagrop.it, che ormia non esiste più) campeggia una scritta molto significativa: “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”. Potete parlarcene un po’?

F: E' un verso di "Via del Campo" di De Andrè in cui ci riconosciamo in pieno. Tutto e tutti ci invitano a correre dietro alle cose che luccicano, ma lo avete mai visto un diamante al buio? Non serve a niente. I fiori profumano anche di notte, e se le nostre canzoni riusciranno ad essere letame per i fiori, avremo fatto qualcosa di buono.


A seguire la parte di intervista che non trovò spazio su Punkster

R: Visto che avete un bel sito, parliamo di Internet e tecnologia, ed in particolare del File Sharing che rischia di fare perdere occasioni economiche alle bands. Tu cosa ne pensi?

F: Io personalmente ho un rapporto pessimo con la tecnologia, agli sms ed alle mail preferisco l'inchiostro. Peccato che il mondo attuale ti consenta raramente di scegliere cosa fare in questo senso. Comunque devo riconoscere che la tecnologia ha delle potenzialità enormi, non solo per la velocità di informazioni e pubblicità, ma anche per quanto riguarda la possibilità di registrare e migliorare la propria musica. Senza esagerare però, altrimenti si perde in personalità, che è una cosa preziosa.. Quanto al File Sharing, se un ragazzo non ha la capacità critica di capire quali sono le bands da scaricare/masterizzare e quali sono quelle da sostenere comprando il disco originale, allora credo che il problema, più che della tecnologia, sia suo.

R: Che cosa pensate della scena alternativa italiana, e dei cambiamenti avvenuti negli anni? Ci sono dei gruppi o delle situazioni che vi sentite vicini, o che al contrario vorresti non esistessero?

F: Non sono un profondo conoscitore della scena e delle sue dinamiche. Sicuramente non ha niente da invidiare a quelle straniere, tranne forse la partecipazione del pubblico ai concerti, che all’estero è spesso più massiccia e calorosa. Devo dire che nel 1993, quando abbiamo iniziato, si respirava un’aria più genuina e meno competitiva rispetto ad ora. Nonostante questo, siamo in ottimi rapporti con molti gruppi italiani ed esteri e ci sentiamo particolarmente vicini alle bands che portano avanti i nostri stessi discorsi, come Banda Bassotti o Gang, per farti due nomi. Poi ci sono gli amici, ai quali ci lega qualcosa che prescinde dal discorso musicale, come i Los Fastidios; ma questi sono davvero tanti. Da questo punto di vista ci riteniamo molto fortunati! Per il resto non mi permetterei mai di dire che un gruppo non dovrebbe esistere, anche se alcuni sono talmente “montati” da non aiutare certamente l’unità della scena. Quanto alle situazioni, mi infastidisce molto l'invidia ipocrita che in troppi nutrono verso le bands più conosciute. È l'attitudine miserabile di chi sputa negli occhi degli altri solo perché non ha il coraggio di sputarsi in faccia.

R: Quale gruppo ha maggiormente influenzato la vostra band?

F: Uno solo non saprei proprio indicartelo. Sicuramente gli Erode, i Cccp, i Mano Negra, i Clash, ma anche alcuni cantautori; forse nella nostra musica si coglie poco o niente della loro presenza, ma nei testi, soprattutto negli ultimi, credo che il riferimento sia abbastanza esplicito.

R: E un brano non vostro a cui vi sentite particolarmente legati?

F: Ce ne sarebbero così tanti che davvero non riesco a scegliere! Di solito presto attenzione ai testi più che al ritmo o alle note, per cui in generale rimango legato alle parole. Uno che mi viene in mente in questo istante è "Al Volga non si arriva" degli Erode, ma potrei rispondere in mille modi diversi a questa domanda.

R: Per finire, dove saranno gli Atarassia Grop tra dieci anni?

F: Spero che saremo, se non ancora in giro a suonare, almeno nei ricordi di chi ha voluto bene alle nostre canzoni. Questo ci basterà.

RECENSIONE SVETLANAS FEAT. LOU KOLLER “NOISE FOR THE SILENT” (SINGOLO, 2024, 3/5)

Metti il tradizionale thrash sound degli Svetlanas insieme alla furia HC di Lou Koller dei Sick Of It All, ed ottieni “Noise For The Silent”, un inno alla ribellione che vuole essere un manifesto della mentalità di Olga e c.: “diamo voce a quelli che non la hanno, combattiamo per la libertà, resistiamo all’oppressione e uniamoci per ottenere il cambiamento”.

Il tutto arricchito da un ritmo martellante e da riff taglienti che trasmettono un gran senso di rabbia.

Let’s fight together!!

(Riki Signorini)

I brani

1.   NOISE FOR THE SILENT   

I contatti

https://www.facebook.com/svetlanas77

https://www.instagram.com/_svetlanas_/

RECENSIONE STATUTO “STATUTO FOOTBALL CLUB” (CD, 2024, EGEA MUSICA, 3/5)

La passione per il calcio degli Statuto, storica Mod Band Torinese, è più che risaputa.

A loro si deve ad esempio un brano, “Ragazzo Ultrà”, che ha fatto da colonna sonora a non so quante mie trasferte fatte a seguito del Pisa con gli amici della Valdera.

E sempre a loro si devono altri anthem come “Facci un goal” del 2005, al cui videoclip partecipò anche lo storico attaccante del Torino Paolo Pulici, “Controcalcio”, un omaggio al calcio d’altri tempi scritto con Enrico Ruggeri.

Non sorprende quindi che oggi i nostri ci propongano un mini-album all’insegna di cover di brani legati al mondo del pallone intramezzati da storiche sigle calcistiche, che vanno da “Tutto il calcio minuto per minuto” alla “Domenica Sprint”, passando per “Novantesimo Minuto” e la “Domenica Sportiva” (con quella “A Taste Of Honey” che fu ripresa anche dai Beatles), il tutto riarrangiato con il tipico stile ska-soul-pop che da sempre è il marchio di fabbrica della band. Per quanto riguarda invece le cover, i nostri hanno vita facile a migliorare la “Vita da mediano” di Ligabue, e fanno un buon lavoro anche con “La partita di pallone” di Rita Pavone e con “Una estate Italiana” (Bennato-Giannini). Più difficile, invece, confrontarsi con De Gregori e la sua “Leva Calcistica”, ma anche qua oSKAr e compari la sfangano decentemente.

(Riki Signorini)

I brani 

1.   Un'estate italiana

2.   Taste of Honey

3.   Vita da mediano

4.   Stadium

5.   La leva calcistica

6.   Pancho

7.   La partita di pallone

8.   Dribbling

I contatti

https://www.statuto.net/

https://www.facebook.com/glistatuto

https://www.instagram.com/gli_statuto/

RECENSIONE ONE LAST WISH “1986” (LP, 2008, DISCHORD RECORDS 118, SV)

 

Riprendo l’opera di recupero delle recensioni mai pubblicate del grande Gianni Bandini rendendo disponibile quanto scritto al momento della ristampa su vinile del CD omonimo.


Anche qui siamo di fronte alla Storia dell’HC.

L’occasione di recensire questa band focale sta nella stampa in vinile del demo uscito qualche anno fa solo su CD.

L’unica uscita ufficiale della band prima della ristampa del demo, era un brano sulla storica (scusate se mi ripeto ma non conosco altri aggettivi) compilation “State Of The Union” del 1989. Compilation che fu il canto del cigno della breve ma importantissima stagione emo di Washington DC della seconda metà degli anni ’80.

La band si formò nel 1986 da ex membri di Rites Of Spring ed Embrace ma durò solo lo spazio di pochi mesi. Successivamente ai O.L.W. alcuni finirono nei Fugazi e altri negli Happy Go Lick.

Musicalmente i riferimenti sono quelli straclassici dell’epoca: Embrace, Soulside, Ignition e compagnia bellissima! I brani molto belli. Nell’LP è presente un coupon per il download digitale di tutto l’album. Busta interna stampata con foto e testi.

(Gianni Bandini)

I brani

1)  Hide

2)  Burning In The Undertow

3)  Break To Broken

4)  Friendship Is Far

5)  My Better Half

6)  Loss Like A Seed

7)  Three Unkind Silences

8)  Shadow

9)  Sleep Of The Stage

10) One Last Wish

11) This Time

12) Home Is The Place

I contatti

https://www.facebook.com/dischordrecords/

https://onelastwish.bandcamp.com/album/1986

RECENSIONE ZERO TOLERANCE “FUEL THE FIRE” (EP7”, 2010, REAPER 32, SV)

Mettendo in ordine tra i miei file mi sono capitate tra le mani alcune recensioni fatte anni fa dal carissimo amico Gianni Bandini, e mai pubblicate (perché andate appunto disperse).

Colgo l’occasione del ritrovamento per iniziare a pubblicarle in colpevole ritardo, iniziando dal sette pollici degli Zero Tolerance, senza mettere un voto perché questa era l’impostazione del Balzarot….

 

Gli ZERO TOLERANCE furono una band dalla vita breve dell’area di Buffalo (NY), a cavallo tra la fine degli anni 80 e gli inizi dei 90.

Pubblicarono all’epoca un solo EP “Bad Blood”, per l’allora importante Hi Impact (divenuta poi Jade Tree) ed un brano sul secondo volume della compilation “Only The Strong” della Victory records.

Il loro sound era proprio tipicissimo del tempo: al pari dei primi Face Value, Integrity, Strife e un po’ tutta la scena della Victory degli albori proponevano un hc molto poco raffinato, imbastardito pesantemente da passaggi thrash grossolani e schitarrate che sapevano tanto di Slayer (ma ci provavano solo, mica ci riuscivano!). Veramente tamarri.

Fuel The Fire” leggo essere la ristampa, per la prima volta su vinile, di un EP uscito nel 1991 solo in cassetta. Non ho ulteriori riscontri in merito, quindi prendete quanto ho scritto col beneficio del dubbio.

L’EP in questione è proprio un salto nel passato, a me piace ma lo consiglio solo a completisti del genere, perché dire che è bello è un parolone…

Edizione curatissima con grafica molto bella, inserto coi testi e coupon per il download gratuito del disco.


(Gianni “Balzarot” Bandini)

I brani

1.   Back To Square One

2.   Fuel The Fire

3.   A Minuet To Pray

4.   Face The Panic

5.   A Thousand Deaths 

I contatti

http://www.reaper-records.com

RECENSIONE SHANDON “BEST OF 30 YEARS ON THE ROAD VOL. 2” (LP + DIGITAL, 2024, AUTOPRODUZIONE, 4/5)

 

Tornano gli Shandon, ed anche stavolta, come successe 5 anni fa per le nozze d’argento con la musica, i nostri celebrano il trentesimo anniversario con un “Best Of” ricchissimo di ospiti nazionali ed internazionali.

Olly e c. aprono alla grande le danze con “Run Police Run”, il primo singolo (inedito) del disco (qua trovate il video) che vede molti ospiti ai cori (Los fastidios, RFC, Skapital Sound dal Messico, Desorden Publico dal Venezuela) e soprattutto Joxemi degli SKA-P alla chitarra.

Poi è tutto un alternarsi di guest stars da tutto il mondo che aiutano la band a riproporre vecchi brani con una verve ed uno spirito tutti nuovi, che contribuiscono a fare di questa raccolta un qualcosa di raccomandatissimo.

In mezzo a 20 brani di ottimo livello è difficile segnalare qualcosa in particolare, ma devo dire che ho apprezzato molto “Adondo”, impreziosita dal contributo di Dr Ring Ding, “Evoluzione” (con Silvio dei Persiana Jones), “Liquido” (che vede la partecipazione di Maurizio Affuso degli RFC) e soprattutto GG Is Not Dead” a cui la voce di Olga Svetlanas regala un tocco super.

Insomma, un bel disco, che ripercorre i 30 anni di carriera della band celebrati ottimamente con versioni completamente ri-registrate.

(Riki Signorini)

I brani

1.   Run Police Run (Feat. Joxemi SKA-P) 02:47

2.   Ruvida (Feat. Gian Maria Sick Tamburo) 02:08

3.   Adondo (Feat. Dr Ring Ding) 02:53

4.   Evoluzione (Feat. Silvio Persiana Jones) 02:06

5.   P.N.X. (Feat. Pedro Finley) 03:35

6.   Deadlock (Feat. Los Fastidios) 02:22

7.   GG Is Not Dead (Feat. Olga & Diste Svetlanas) 02:24

8.   My Ammonia (Feat. Eugenio Bull Brigade) 02:00

9.   Lamar Y Lavonia (Feat. Horacio Desorden Publico) 02:40

10.  Sangue e Lava (Feat. Sebi Derozer) 02:54

 

11.  OK (Feat. Icas Oreskaband) 02:0

12.  Egostasi (Feat. Alberto Bianco) 03:11

13.  Ocean (Feat. Pat Cosmo Blubeaters) 03:29

14.  Bad Smell (Feat. Jesus Arriaga Skapiital Sound) 02:44

15.  Revenge (Feat. Dinelli Seed n’ Feed) 03:02

16.  Liquido (Feat Maurizio Affuso RFC) 02:50

17.  Time (Feat. Irene Viboras) 02:38

18.  Wrong Way (Feat. Dellarabbia) 02:57

19.  Bambola (Feat. Eva Poles Prozac+) 02:59

20.  Il Vuoto Non Basta (Feat. Divi Ministri) 03:39

 

I contatti

https://www.facebook.com/ShandonOfficial

https://shandon.bandcamp.com/album/best-of-vol-2-30-years-on-the-road-2024