RECENSIONE DOCUMENTARIO “KINA: SE HO VINTO SE HO PERSO” (REGIA DI GIAN LUCA ROSSI, 5/5)


Chi mi conosce sa che importanza hanno avuto per me i Kina, sia negli anni della mia formazione che nella maturità attuale.
Li ho visti suonare tantissimi volte, ed a loro mi lega una amicizia che, a dispetto dei molti chilometri che separano Aosta da Pisa, si è mantenuta negli anni.
Per questo l’occasione di incontrarli a Firenze per la proiezione del documentario “Se Ho Vinto Se Ho Perso” era troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire, soprattutto dopo che poche settimane prima mi ero perso il loro
passaggio da Prato.
Rivedere Gianpiero ed Alberto dopo forse vent’anni (con Sergio avevamo avuto modo di trovarci un paio di volte nel frattempo) è stata una bellissima emozione, e mia moglie, che mi ha accompagnato, non riusciva a credere che fosse passato così tanto tempo dall’ultima volta che ci eravamo trovati, da quanto il tutto è stato naturale.
Ma bando alle ciance ed ai sentimentalismi, passiamo al sodo, ovvero al documentario che parla dell’omonimo disco dei Kina, il loro disco più maturo, un pezzo di storia del punk europeo.
Un disco raccontato attraverso gli occhi dei tre principali interpreti di questa storia che è andata avanti dal 1982 al 1997, e che comunque non si è mai davvero interrotta.
Una storia nata nel nulla assoluto di Aosta, in una radio locale che passava i
primi pezzi punk che nessuno voleva passare (a parte Sergio), con quel soprannome “Huskers From The Mountains” che fu loro affibbiato da Stiv Rottame di TVOR e che li ha seguiti per tutta la loro storia, anche se loro gli Husker Du non li conoscevano ancora.
Una storia che li ha visti crescere tra lo stupore ed anche l’incredulità della scena HC europea, loro che venivano
dalle montagne e avevano un look quasi da “surf punk”, loro che erano Italiani e “tranquilli”, mentre in UK pensavano che i punk potessero esistere al massimo in Germania, loro che sono stati gli “sherpa” del punk Italiano, tracciando le vie lungo le quali si sono poi mossi tutti gli altri.
Una storia che si è interrotta dopo 350 concerti di cui 200 all’estero, quando Gianpiero, di fronte a gente, anche amici di una vita, che li contestava perché dopo anni di “gavetta estrema” avevano suonato in due o tre posti un po’ più grandi, ha capito che “il mondo aveva più bisogno di un buon fisioterapista che di un bassista”….
Una storia raccontata da Gian Luca Rossi attraverso documenti originali ed a
colori del tempo, e belle interviste realizzate dal regista, realizzate in bianco e nero con una fotografia bellissima che ci mostrano i nostri oggi, tra arti marziali, musicoterapia, figli, gite in montagna, cani, studi fisioterapici…...
E in questi quasi 80 minuti, nei quali sono coinvolti anche amici che al tempo hanno condiviso molta strada coi Kina, impariamo come Sergio, Gianpiero e Alberto non suonavano per la musica ma per conoscere la gente ed
esprimere idee, attraverso i Kina ed attraverso la loro leggendaria etichetta Blu Bus che ci ha fatto conoscere tonnellate di bei gruppi.
Impariamo come i nostri riuscissero ad attraversare l’Europa, a volte anche senza carta geografica, per Tour organizzati in modo acrobatico con lettere e telefonate dalle cabine telefoniche a gettone, individuando i locali dove avrebbero suonato solo seguendo i crestati o i poliziotti che di solito li presidiavano in massa
Ed è bello vedere attraverso gli occhi di Alberto quanto è cambiata Berlino, che io ho visitato solo molti anni dopo di loro, e scoprire come, nonostante tutto il reazionismo dilagante, esistano ancora isole che combattono e resistono.
Insomma, un documentario che raccomando a chi non ha vissuto quel periodo da vicino.
Un documentario che mi augurano possano vedere tutti quei giovani che oggi
collezionano selvaggiamente dischi, cassette e fanzine del tempo, spendendo capitali per acquistare materiale che non volevamo vendere a più di 1.500 lire.
Un documentario che al suo interno contiene una frase, pronunciata da Sergio, che mi piace moltissimo, perché dovrebbe aiutare a capire che la favolosa golden age dell’hardcore Italico non era tutto rose e fiori come molti pensano: “Quando incontro dei ragazzi che mi dicono roba tipo , la mia riflessione è ”.
E con questo chiudo la mia lunga recensione/riflessione, anticipando la risposta a chi mi chiederà,  giustamente, perché non ho recensito prima questo documentario, se mi piace così tanto. La risposta è semplice: perché speravo che nel frattempo il regista trovasse un canale di distribuzione di questo “Se Ho Vinto Se Ho Perso”, in modo da potere concludere dicendo qualcosa tipo “un DVD da avere assolutamente sotto l’albero di Natale in questo 2020”.
Ma la raccomandazione finale la faccio lo stesso: se vi capita, andate a vederlo, mi raccomando.

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