INTERVISTA A FRANCESCO STEA, AUTORE DI "CENTRO SOCIALE MACCHIA NERA 1988-1999” (INTERNO4 EDIZIONI, SV)

Francesco Stea, medico (e storico) grossetano ormai trapiantato da anni a Pisa, è l’autore di "Centro Sociale Macchia Nera 1988-1999”, il libro dedicato al CSOA di Pisa che, ereditando in qualche modo l’esperienza del Victor Charlie, diventò un autentico tempio dell’underground per oltre un decennio.

Dopo averne parlato QUA, oggi intervistiamo l’autore

Riki: Ciao Francesco e ben trovato per questa chiacchierata sul tuo libro, dedicato al Centro Sociale Macchia Nera di Pisa, ed a 11 anni di controcultura (1988-1999) a Pisa e non solo.

Inizierei con parlare un attimo di te, e di come ti sei imbattuto nel Centro Sociale di Pisa, tu che sei un medico laureato in Storia, arrivato nella città della Torre nel 1997 o giù di lì.

Francesco: La mia biografia è tutt'altro che interessante, ma è utile per contestualizzare: sono originario di Grosseto, al momento del diploma ero indeciso se intraprendere gli studi in Storia - che già allora mi piaceva: i miei mi regalarono "Il secolo breve" di Hobsbawm, fu subito amore - o in Medicina. Pensai che potevo fare Medicina e poi semmai fare Storia successivamente per hobby, mentre non sarebbe mai stato possibile fare il contrario; oggi infatti lavoro come medico e nel 2022 mi sono laureato anche in Storia (con 110 e lode, scusa ma l'impulso di dirlo è insopprimibile!).

Arrivo a Pisa dalla mia piccola città di provincia, nel 1997 se non sbaglio; non
avevo mai sentito mai parlare del Macchia Nera, la prima volta che ne lessi fu un accenno nella guida per gli studenti che Sinistra Per distribuiva al concerto dei 99 Posse in piazza Carrara nel 1997 (dal palco Zulù fece riferimento alla vicenda Sofri; un altro collegamento con vicende trattate nel libro). Ma non ricordo di aver mai visto locandine in giro, e non ci sono mai stato: all'epoca pensavo a tirar via con gli esami, inoltre le Piagge per me erano già zona un po' periferica, e nessuno che conoscevo lo frequentava.

Poi negli anni mi è capitato spesso di sentire qualche breve accenno al Macchia Nera, principalmente per i concerti. Nel tempo mi è cresciuta la curiosità di saperne di più, ma non ne sentivo mai racconti veri e propri né trovavo niente da leggere. Al di là che ci avessero suonato i Soundgarden - un po' un mantra - cos'era il Macchia Nera? Com'è nato? Cos'ha fatto in undici anni di esistenza? Se lo volevo sapere, mi dovevo mettere a fare un po' di ricerche. Poteva essere un bell'argomento per la tesi di laurea… o forse una cazzata? Mi hanno (ben) consigliato di parlarne con il prof. Alberto Mario Banti, che io conoscevo come studioso del Risorgimento, ma che, specie negli ultimi anni, si è dedicato principalmente alla storia culturale (vedi il suo "Wonderland. La cultura di massa da Walt Disney ai Pink Floyd", con Jimi Hendrix in copertina). "That escalated quickly", potremmo dire… ed eccoci qui.


R
: Infatti il tuo approccio da storico si vede molto bene, e devo complimentarmi per come sei riuscito a mettere nero su bianco molti fatti che rischiavano di andare dimenticati dopo molti anni da quando sono avvenuti. Però toglimi una curiosità: perché la scelta di non nominare gli intervistati, citando solo il numero della intervista, ma non la persona a cui tale intervista è collegata?

F: Scherzando potrei rispondere: ribaltiamo la prospettiva, perché invece sarebbe importante sapere i nomi? A parte scherzi, ho preso la decisione di tutelare la riservatezza di tutti. Magari qualcuno non avrebbe avuto piacere a vedere scritto il suo nome, magari ad altri invece non sarebbe importato, magari qualcuno avrebbe avuto proprio piacere, io ho detto: facciamo che di nomi non ne metto nessuno. Anche quando (rari casi) erano riportati negli articoli di giornale che cito, ho scelto di ridurli alle sole iniziali. Il che peraltro credo si sposi bene con l'argomento del libro: il Macchia Nera è stato un collettivo, di nomi di singole persone se ne leggevano molto pochi. Inoltre, in occasione delle interviste le persone si sono sentite più libere: esordivo sempre con "il tuo nome non comparirà, raccontami cosa ti pare, quello che non hai voglia di raccontarmi non me lo racconti, se c'è qualcosa che mi racconti ma non devo scrivere me lo dici e non lo scrivo" (e così ho fatto). Lasciamo a chi vuole la possibilità di dire "questo sono io", poi ovviamente i nomi di tutti gli intervistati sono sparsi nei ringraziamenti finali.

R: Grazie Francesco. Un'altra curiosità. Dopo l'enciclopedico sforzo fatto per completare la tua tesi, come è nata di farne un libro per Interno4?

F: Ho pensato che quello che avevo scritto potesse essere di interesse anche per

qualcun altro: la conferma me l'ha data anche l'iniziativa all'Ortaccio, in cui in una sera di metà settimana la sala si è riempita di gente venuta fino a Vicopisano a sentir parlare e a parlare del Macchia Nera. Ho quindi inviato il "manoscritto" a diverse case editrici: ho però scoperto che la prassi è "tu inviaci il tuo testo, se dopo sei mesi non hai sentito nulla vuol dire che non ci interessava". Capisco che adesso con internet riceveranno forse dieci proposte editoriali al giorno, ma non è incoraggiante. Infatti, la maggior parte non ha neanche risposto. Avevo letto di recente "Prendiamoci la città", il libro di Guido Viale su Lotta Continua uscito per Interno4, e ho pensato che potesse essere l'editrice giusta: Massimo ha fissato una videochiamata meno di un'ora dopo che gli avevo mandato l’e-mail e ha deciso di pubblicare il libro già prima di leggere il testo! Poi, siccome c'erano già diverse altre uscite in programma prima della mia, ho avuto tempo, modo e voglia di continuare il lavoro, trovare altro materiale, scartabellare più giornali, intervistare altre persone, migliorare alcuni capitoli, e il testo del libro è in effetti molto più lungo e più completo di quanto non fosse la tesi, che usando un'analogia informatica possiamo dire ne rappresenti una versione beta. Interno4 ha poi fatto un bel lavoro di editing - processo che di certo non si limita a correggere i refusi! - con preziosi e competenti suggerimenti, principalmente da parte di Caterina Zamboni, che quando ci ho parlato mi ha raccontato che in precedenza aveva fatto un po' di editing a libri di suo padre, sai scrive anche lui… Con una certa lentezza di riflessi ho scoperto di avere avuto la stessa editor di Massimo Zamboni, l'ex chitarrista dei CCCP, di cui avevo appena letto "La trionferà", trovandolo entusiasmante! Alla fine, il libro come è uscito mi piace anche esteticamente, mi sembra confezionato proprio nello spirito giusto; questo rende evidente che dalla casa editrice chi ha gestito tutto il processo di pubblicazione ne sa, a maneggiare questa roba è a suo agio. Direi che sono cascato proprio bene, anche perché non tutte le case editrici indipendenti lavorano così.


R
: a proposito di Ortaccio e risposta del pubblico, farai un tour promozionale per il libro? Oppure ti limiterai a presentarlo a Pisa? Per quello che può valere, spero che tu abbia modo di girare molto per l’Italia….

F: Intanto pensiamo al 6 dicembre al Caracol: devo dire che, per il mio carattere, organizzare e fare una presentazione pubblica è davvero molto faticoso. In effetti ci può essere interesse per il libro anche fuori Pisa: non solo per l'attrattività che avevano i concerti del Macchia Nera che richiamavano pubblico anche da lontano (ad esempio nel libro c'è il gustoso racconto di un gruppo di milanesi in trasferta per vedere i Bad Religion), non solo perché gli appassionati di musica di ogni età 


potrebbero trovarci cose interessanti, ma anche perché la storia del Macchia Nera potremmo vederla anche come il capitolo pisano della storia dei centri sociali, che erano una rete e un fenomeno di respiro nazionale. Credo che del resto anche l'interesse di Interno4 al libro si inserisca in questo discorso, ecco perché esce per una casa editrice "nazionale" e non per qualche pur rispettabilissima casa editrice pisana (quando cercavo un editore mi ero detto: puntiamo in alto, poi semmai a Pisa qualcuno che me lo pubblica lo troverò…). Ma sulla storia dei centri sociali italiani non sono granché preparato, ne so poco sia per motivi personali e anagrafici, sia perché, anche qui, poco è stato scritto (e del poco che è stato scritto, qualcosa l'ho trovato molto noioso, io spero invece di aver scritto qualcosa di piacevole da leggere!) Comunque, già diverse persone fra le tante che mi hanno dato una mano per il libro mi hanno proposto di fare presentazioni qui nei dintorni e quelle penso che con calma le farò, anche per ringraziarli. Però alla fine io il mio l'ho fatto scrivendo, quindi alle presentazioni preferirei che parlassero i veri protagonisti dell'epoca, così - nella mia curiosità di saperne di più, da cui tutto è cominciato - ascolto qualcosa di interessante anch'io: la serata all'Ortaccio (trovate la registrazione qua) fu divertente e istruttiva, ha contribuito molto al libro, ci sono anche alcuni interventi che ho riportato pari pari.

R: Dopo tutto quello che hai letto e scritto sull’argomento, che impressione ti sei fatto del Macchia dall’esterno?

F: Giustamente dici "impressione": è il termine che uso anch'io, perché non mi azzardo a trarne più che questo (sebbene ormai sia un'impressione abbastanza informata, me lo concederete!). L'impressione è che il Macchia Nera sia stato uno spazio e un collettivo - un centro sociale, infatti, è entrambe le cose - che ha tratto la sua forza dal tenere insieme tante persone e attività diverse, al contempo mantenendo un rapporto con tutta la città, se non altro perché era un luogo dove

tutti o quasi andavano almeno a passare qualche serata. È bello anche che fosse un posto dove, anche al di là delle attività promosse direttamente da chi lo portava avanti, potevi trovare spazio e modo per fare un'assemblea, una riunione, un'iniziativa pubblica o una performance artistica. Poi magari questo mix e questo equilibrio non hanno più retto, ma su questo non mi ci fisserei, direi più che tutti i fenomeni umani hanno un inizio e una fine, è un ciclo normale, anzi forse per un centro sociale vivere undici anni è oltre la longevità media. E io non sono neanche un grande esperto di musica, ma avere concerti di livello a prezzi popolari ogni settimana dev'essere stato fantastico, una vera ricchezza per la città, che appunto è durata anni.

R: tra tutte le testimonianze che hai raccolto, c’è qualche aneddoto particolarmente interessante che ti ha colpito?

F: Se ci limitiamo agli "aneddoti" propriamente detti, ce ne sono tanti legati ai concerti: da Linton Kwesi Johnson che nel pomeriggio sale al piano di sopra, entra nella sala prove e si mette a improvvisare con chi stava strimpellando lì - provo a immaginarmi le facce! - alla delirante serata delle Tribe 8, anche perché, delirio nel delirio, l'allora cantante delle Tribe 8 mi ha risposto dopo un anno a un messaggio che le era finito nello spam, con il pdf definitivo del libro ormai chiuso, per raccontarmi il suo ricordo del concerto pisano: siamo riusciti a inserirlo in extremis. Di aneddoti ce ne sono tanti e gustosi; al contempo uno degli obiettivi del libro era anche andare oltre agli aneddoti (per quanto sia già cosa buona averli fissati per scritto e aver separato realtà e leggenda), altrimenti la storia del Macchia Nera si ridurrebbe a una specie di sit-com. Se allarghiamo il discorso alle testimonianze in generale, ascoltarle è stato sempre interessante e istruttivo, al di là di quanto poi ho riportato direttamente. Una che mi è sembrata particolarmente importante è quella che racconta il Macchia Nera come un "safe space" - oggi si direbbe così - per le donne: ricordiamoci che parliamo di una trentina d'anni fa, certe cose non sono scontate neanche oggi, figuriamoci allora, neanche in certi ambienti. Il Macchia Nera è stato un posto all'avanguardia sotto tanti punti di vista.

(Comunque, ripensandoci, una sit-com ambientata in un centro sociale sarebbe una bomba!)

R: Beh, effettivamente, potrebbe essere una figata…. Magari potrebbero essere coinvolti alcuni frequentatori del Centro che poi hanno avuto una carriera folgorante senza dimenticare Pisa ed il Macchia Nera. Magari regia di Roan Johnson e colonna sonora di Zen Circus e Gatti Mèzzi… A proposito di questi ultimi, molto interessante il capitolo dedicato alla loro canzone “Macchianera”, che mi ha sempre emozionato molto, con parafrasi di Tommaso Novi. Come ti è venuta questa idea?

F: Mi pareva il minimo: è una delle poche cose scritte sul Macchia Nera e una sorta di ode a quel luogo; o, meglio, a come si sono vissuti quel luogo e quell'esperienza da parte di quella comunità di ragazzi negli ultimi anni del centro sociale (immagino che magari i primi occupanti possano ritrovarcisi poco e domandarsi se la canzone parla dello stesso centro sociale che conoscevano loro…). Al contempo fatti, cose e persone di cui si parla, anzi si canta, oggi possono non essere tutti chiari per chi non c'era: di qui l'esigenza - e l'utilità, nel mio caso - di farseli raccontare. Poi, al di là della parafrasi in sé, Tommaso è stato molto gentile ad aprirmi casa sua e i suoi ricordi dell'epoca, mi ha aiutato molto a capire il contesto. Ecco, siamo praticamente coetanei, ma lui l'adolescenza l'ha passata al Macchia Nera, io nella provinciale e sonnolenta Grosseto: direi che lui in questo è stato molto più fortunato di me, e con lui tutta quella generazione di pisani. Tutti si "vorrebbe torna' bimbetti", ma il ruolo particolare di formazione e crescita di "quer posto che era un mondo" lo sottolineano in tanti.

R: A proposito di Grosseto, un off topic. Hai visto il film “Margini”, dedicato proprio alla tua città?

F: Off topic neanche tanto: ci stavo proprio pensando mentre rispondevo; e poi anche per la storia e per l'ambiente che tratta direi che siamo in tema, anche se il film è ambientato nel 2008, quando il Macchia Nera non c'era più da un pezzo e anch'io non abitavo più a Grosseto da anni. Lo ritengo uno dei film migliori che ho visto negli ultimi anni. Ben fatto, tutto torna, addirittura gli attori parlano un discreto maremmano (evitando l'effetto "aaah i toscani simpatici che parlano tutti fiorentino"); soprattutto, descrive bene l'atmosfera di una città di provincia che più provincia non si può, evitando tuttavia di cadere nel macchiettistico, nel caricaturale, ma anche nell'autocompiacimento del disagio o in una sorta di esotismo paraculo tipo "mostriamo agli italiani un po' di terzo mondo per un'oretta e mezzo". Grosseto - mi baso su ricordi abbastanza lontani, ma non credo che nel frattempo ci sia stata una rivoluzione - è (era?) esattamente così; non è né il Bronx né Quarto Oggiaro né un paesino montano del Molise né una tana di bifolchi, però è (era?) un posto dove non c'è nulla o quasi ed è sempre un'impresa

organizzare qualcosa, davvero ti senti ai margini di tutto. Venendo da lì, nel 1997 arrivo a Pisa e improvvisamente mi sembra di essere capitato in un posto a metà tra Las Vegas e la Pietrogrado del 1917. Se "Margini" fosse stato ambientato a Pisa, sarebbe stato un cortometraggio di cinque minuti in cui tre amici decidono di organizzare un concerto, lo propongono a qualcuno dei posti dove si potrebbe fare (nel 2008 ti direi tipicamente Rebeldìa), il concerto si fa, loro si divertono un sacco senza neanche bisogno di sbattersi a cercare l'impianto, i soldi e tutto; fine, titoli di coda! Però neanche questo è una cosa scontata: se parte della vivacità di Pisa deriva dall'essere una città universitaria con migliaia di studenti, altre città analoghe sono ben diverse. Quello che c'è oggi poggia anche su basi gettate in passato, e probabilmente in questo il Macchia Nera ha fatto la sua parte. Altrimenti forse Pisa sarebbe solo una Grosseto con l'università e con due popolazioni separate tipo il Sudafrica dell'apartheid; rischio che peraltro è sempre un po' presente.

R: Ti faccio un’ultima domanda: perché consiglieresti di leggere il libro?

F: Non sono bravo ad autopromuovermi, ma una cosa la posso dire: io mi sono divertito tantissimo a scriverlo (divertito in senso lato, chiaramente, perché non è una raccolta di barzellette); se a leggerlo ci si diverte anche solo un decimo di quanto mi sono divertito io a scriverlo, ne vale la pena. Marc Bloch, grande storico

ucciso dai nazisti, diceva appunto che la storia, anche se per assurdo non servisse a nulla, è divertente; e questa, senza volerla fare più grossa di quella che è e senza prendersi troppo sul serio, è comunque un pezzetto di storia di Pisa, e direi d'Italia. Magari conoscere un pezzetto di passato può aiutare a comprendere meglio il presente, e magari a pensare un pezzetto di futuro; oppure si può anche semplicemente passare qualche ora - spero piacevole - a leggere una storia, che però ha un valore aggiunto perché è vera e non un'invenzione letteraria.

R: Vuoi aggiungere qualcosa prima di salutarci?

F: Solo che forse ci sono tante altre storie, pisane e non, che aspettano qualcuno che si diverta a scriverle e qualcun altro che si diverta a leggerle prima che vadano perse. Sarebbe bello se il libro fosse anche di incoraggiamento per altri.

R: Grazie mille Francesco! Lo spero davvero


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